ARCHIVIO VENDITTI

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Questa pagina sarà aggiornata periodicamente con articoli, interviste, curiosità su Antonello
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RICORDO DI ENNIO MELIS

"le cose della vita, fanno piangere i poeti....ma se non le fermi subito diventano segreti....."
ciao dagli Amici di Antonello.

MUSICA: MORTO ENNIO MELIS, PAPA' DEI CANTAUTORI ITALIANI

Roma, 21 feb. (Adnkronos) - E' morto oggi a Roma Ennio Melis, l'uomo che invento' la parola cantautore. Era malato da tempo e nella sua carriera di discografico (per anni e' stato direttore della Rca) aveva scoperto e lanciato Rita Pavone, Gianni Morandi, Lucio Battisti, Renato Zero, Francesco De Gregori, Antonello Venditti e Claudio Baglioni. (segue)
(Mag/Gs/Adnkronos)
21-FEB-0519:48



Mi piace raccontare qui un simpatico aneddoto sul disco "le cose della vita" che Ennio Melis riportò in "dopo pranzo pop"(uno speciale del tg2-grazie Marta per avermelo procurato).
Ennio Melis, allora direttore Rca era andato oltre il potere di spesa datoglidai discografici americani(la rca, radio corporation america è stata la prima o multinazionale del disco in italia). In quel periodo Antonello era appena passato alla rca(dopo la parentesi alla it di Micocci). In tre giorni fu pronto un nuovo disco, di grande semplicità e grande pathos, "le cose della vita", piano, emiment(una tastiera oggi introvabile che Antonello "ogni tanto si sogna"(sono parole sue).
Il disco fu il primo lancio vero per Venditti e salvò il direttore ella rca, Melis appunto, che stava per essere messo sotto inchiesta dai vertici americani.
(Stefano- solegemello il sito)



Musica: Patty Pravo, Con Scomparsa Melis Muore Musica Leggera
Roma, 23 feb. (Adnkronos) - Si sono tenuti questa mattina a Roma i funerali di Ennio Melis, il creatore della Rca italiana e il piu' importante discografico del nostro Paese. Alle esequie, tenutesi nella Chiesa di Beata Maria Vergine dell'Immacolata, erano presenti, tra gli altri, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Franco Migliacci, Scialpi. Nel corso del funerale e' stata letta una testimonianza affettuosa di Renato Zero. ''Con la scomparsa di Ennio Melis muore la musica leggera -ha detto Patty Pravo in una nota- E muore un grande uomo dotato di cultura e sensibilità. Nel suo lungo rapporto con la RCA non ha mai accettato imposizioni e pressioni. A lui devo molte delle mie scelte e dei miei successi, così come a lui si deve la nascita dei cantautori e dei migliori talenti. Oggi tutto il cosiddetto 'mondo musicale', si sarebbe dovuto fermare e stringersi intorno a lui''.


La canzone italiana? L'ha inventata il Vaticano
di Lorenza Foschini - Tratto da PANORAMA 28/1/2005
per informazioni e comunicazioni: stefano@solegemello.net

Ennio Melis, fondatore della Rca, con Gianni Morandi in una foto degli anni Settanta
Uno stabilimento alle porte di Roma, gli uffici nei pressi di Villa Borghese e un parco artisti senza eguali: Morandi, Battisti, Baglioni, Cocciante e molti altri. Tutti i segreti della storica casa discografica, finanziata dagli americani ma voluta da Pio XII. Che in nome dell'hit parade benedisse anche la protesta dei nostri cantautori.

L'uomo che inventò la parola cantautore regnò per oltre 30 anni sulla canzone per volere del Papa. Ennio Melis è stato padrone e signore della Rca, la succursale italiana della grande industria musicale americana che negli anni Cinquanta lanciò Rita Pavone e Gianni Morandi, Nico Fidenco, Edoardo Vianello, Gianni Meccia e Jimmy Fontana, e poi Lucio Battisti e Renato Zero, Paolo Conte e Patty Pravo, Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Claudio Baglioni, insomma i protagonisti della storia della musica leggera italiana.

Pochi sanno che il Vaticano ne conservò la presidenza dalla fondazione fino alla chiusura, una quindicina di anni fa (quando la casa discografica americana fu acquistata dal gruppo tedesco Bertelsmann). Oggi quella fabbrica, a Roma, al dodicesimo chilometro della Tiburtina, che vide nascere motivi meravigliosi, con sale di registrazione all'avanguardia per quei tempi (nello studio A, il più grande del mondo, Frank Sinatra, venne a registrare i suoi Caroselli per la Perugina), è un casermone fatiscente, un deposito di scatoloni pieni di vestiti scadenti. Eppure, resistono ancora i segni del suo glorioso passato: alle pareti favolose boiserie e tra i vetri rotti si intravedono le sale di regia. In un altro paese forse non sarebbe stato permesso questo oblio e la sede della Rca sarebbe, se non un museo, almeno una facoltà di musica.

«La storia» racconta Melis «comincia verso la fine del 1949 quando il cattolico Frank M. Folson, consigliere delegato della più grande azienda elettronica del mondo, la Rca, si reca in udienza dal Papa per consegnargli l'obolo di San Pietro. La società aveva inventato il televisore e vendeva migliaia di dischi. "Santità" gli chiede "posso fare qualcosa per Roma?". Gli risponde Eugenio Pacelli: "Voi avete bombardato l'Italia, ma anche Roma. Sono andato a San Lorenzo e ho visto il disastro che avete combinato. Se volete, costruite un'industria in quel quartiere". Folson tornato negli Stati Uniti chiama i suoi scagnozzi e gli chiede: "Cosa stiamo facendo in Italia?". "Stiamo costruendo una fabbrica di dischi a Milano, tutta l'industria discografica italiana si trova in quella città". "Fatela a Roma" ordinò e chiuse la discussione.

«Nel '51 la fabbrica venne costruita con l'intervento di tecnici statunitensi. Gli uffici erano in via Caccini, vicino a Villa Borghese. Il cast artistico non era male, c'erano Nilla Pizzi, Katyna Ranieri, Paolo Bacilieri e fra gli altri un giovane che si chiamava Domenico Modugno. Dopo poco, Folson telefonò al conte Enrico Pietro Galeazzi, che era il presidente della Rca Italia, per comunicargli che si doveva chiudere».
Galeazzi era l'uomo di fiducia del Papa, trattava tutti gli affari economici della Santa Sede, specialmente con gli americani. Era amico di Spellman, il potentissimo cardinale di New York.

Melis giovanissimo, dopo varie peripezie al seguito degli Alleati che lo avevano portato da Firenze a Roma, era diventato il suo segretario a 21 anni grazie a un annuncio letto sul Messaggero; nel corso dei nove anni passati in Vaticano si era conquistato sempre di più la fiducia del suo datore di lavoro. «Accompagnavo i giornalisti e i cineoperatori statunitensi che si recavano dal Papa, soprattutto a Castel Gandolfo» continua. «Una domenica il conte mi invita a caccia nella sua riserva. Durante una pausa chiacchierando gli dico: "Peccato che chiudono la Rca, al Papa dispiacerà". Galeazzi mi guarda e mi dice: "Melis, se ne vuole occupare lei?". Io rimango di stucco e lui: "Ci pensi un attimo". Il lunedì successivo ricapito a Castel Gandolfo per delle riprese. Quando gli operatori vanno via, mi avvicino al Papa per accomiatarmi e Pio XII mi dice: "Senta Melis, com'è questa storia della Rca?". Rispondo: "Non so, è un peccato se la chiudono". E lui: "Veda lei cosa si può fare". Pensai: "Se il Papa mi ci manda e poi le cose vanno male, qui mi riprenderanno!".

«Trovai una situazione tipicamente italiana: uffici lussuosi, molti posti di lavoro inutili, insomma spese superiori ai finanziamenti. Chiusi via Caccini e trasferii la parte amministrativa e artistica sulla Tiburtina. Presi una decisione molto dolorosa: licenziai 128 persone riassumendo personale nuovo in maniera oculata. I primi tempi furono duri. I dischi di Elvis Presley si vendevano così e così, ma uscì Harry Belafonte con Banana Boat che ci permise di respirare. Inoltre buttammo via i vecchi 78 giri e portammo tutta la produzione sul 45 giri che nasceva allora. Una decisione rischiosa, anche perché gli americani ci portarono delle presse riciclate che funzionavano male e i nostri rivenditori erano scettici su quei dischi così piccoli. Questo, invece, ci diede un grande vantaggio sugli altri.

«Incontrai un ragazzo con la chitarra, Nico Fidenco, che mi fece sentire per la prima volta Legata a un granello di sabbia. Lo presi subito e con lui Gianni Meccia, Jimmy Fontana, Edoardo Vianello: i quattro moschettieri li chiamavo. Un giorno Vincenzo Micocci, il direttore artistico, mi dice: "Questi cantano però sono anche autori" e io: "Chiamiamoli cantautori".
«Negli Stati Uniti quelli della Rca volevano che ci limitassimo a distribuire le incisioni americane e diedero battaglia. Arrivò un loro emissario che incominciò a controllare, a minacciare licenziamenti: alla fine fu licenziato lui. Un'altra volta mandarono uno molto legato all'ambiente cattolico. Alla fine si decise a mandare un telegramma negli Stati Uniti informandoli che bisognava impedire la pubblicazione di un disco perché conteneva propaganda comunista. Si trattava di una canzone di Nilla Pizzi che era stata in Russia, Dasvidania Mosca. La risposta fu: "Basta che venda". La verità era che cominciavamo a guadagnare, anche tanto, e per gli americani questo è sempre stato l'argomento più convincente.
«Ingrandimmo la fabbrica sulla Tiburtina. Accanto allo stabilimento dove si facevano le miscele di vinile costruimmo un campo di calcio. Morandi, Dalla, tanti altri dopo mangiato andavano a giocare a pallone.

«All'entrata degli studi c'era il bar, un porto di mare dove si poteva incontrare chiunque: Rita Pavone, Patty Pravo, Gabriella Ferri, Gino Paoli, Lucio Battisti, ma anche Pier Paolo Pasolini che parlava con Ennio Morricone o John Huston con Aurelio De Laurentiis, registi, ma anche grandi soprano, direttori d'orchestra, celebri solisti come Arthur Rubinstein. Questo grandissimo pianista in attesa di suonare Chopin si metteva seduto solo solo davanti a un tavolino su cui stendeva un tovagliolo bianco. Tirava fuori da una borsa un uovo alla coque e ci inzuppava un biscottino tranquillamente. Un giorno passò una ragazza di borgata che cercavamo di fare cantare, vide la scena e dandogli una manata sulla spalla gridò: "Nonnetto bravo che se magna l'ovetto!". Non dimenticherò mai la faccia di Rubinstein.

«A proposito di musica classica, noi innovammo completamente il mestiere di arrangiatore chiamando diplomati in conservatorio come Luis Bacalov ed Ennio Morricone. Nascono così i famosi arrangiamenti Rca, come l'introduzione di In ginocchio da te o la costruzione di un marchingegno da far rotolare in studio per Il barattolo di Meccia.
«Mi ricordo il primo incontro che ebbi con Antonello Venditti e Francesco De Gregori in un ristorante sulla Nomentana. Il terrore di Micocci che li aveva scoperti al Folkstudio era che quei due ragazzi colti, intelligenti, di sinistra, molto diversi dai soliti cantanti, potessero rifiutarsi di avere a che fare con un rappresentante di una multinazionale americana. Non fu così, dal ristorante passammo direttamente nel mio ufficio e firmammo i contratti.

«Non abbiamo mai fatto censure politiche. Il Vaticano, che aveva la presidenza, possedeva solo il 10 per cento di capitale sociale e non ha mai interferito. Ha telefonato qualche prelato per raccomandare un cantante e io gli dicevo: "Monsignore, se volete dargli una mano, fate comprare 10 mila copie del suo disco". Ho saputo molti anni dopo che qualcuno segnalò agli americani la nostra disinvoltura nei riguardi della politica e che un uomo della Cia fu spedito in Italia per controllarci!
«Ho passato ore fuori dal lavoro a chiacchierare con Paoli, Cocciante, Dalla. Lucio credo che abbia superato di gran lunga i 20 anni di permanenza in Rca. Cominciò con una jazz band, poi si mise da solo, ma non riusciva a sfondare. La prima vendita vera arrivò dopo anni con 4 marzo 1943 che aveva portato a Sanremo, ma fu un episodio isolato. Il problema era la sua dipendenza dai parolieri. Era lui a ispirare le parole, ma era restio a scriverle. A un certo punto lo posi davanti a un aut aut: "O scrivi da solo le tue canzoni o rompiamo il contratto". "Ma devo fare ancora un lp" mi rispose. "Pazienza, vuol dire che ti pagheremo i danni". Se ne andò via indispettito. Tornò qualche giorno dopo: "Un pezzo l'ho scritto" disse. Nella palazzina degli uffici c'era una stanza col pianoforte, si mise a suonare e cantò Come è profondo il mare. Mi commossi nell'ascoltarlo e gli dissi: "Vedi?". Credo di non avere preso granchi nel puntare sui cantanti che sentivo vincenti.

«Mi ricordo quando in riunione feci ascoltare il disco di De Gregori Rimmel. Il direttore delle vendite disse : "Nessuno ci capirà niente". Ma io gli controbattei: "Prova ad ascoltarlo come un racconto, come impressioni che risvegliano la tua memoria, e vedrai che capirai il senso". Lui lo sentì con attenzione e osservò: "È vero, ma alla gente chi lo spiegherà?". "La gente è più intelligente di noi, vedrai che piano piano capirà" gli risposi.
«Nel 1983, erano passati più di 30 anni, mi resi conto che la realtà era cambiata. Era necessario ridurre il personale: c'erano 600 persone, ne sarebbero bastate 200, ma avevo cominciato questa avventura licenziando tante persone e non me la sono sentita di ripetere un'operazione così triste. Me ne sono andato, ma ancora oggi se incontro i capi delle aziende che vendono dischi mi dicono: "Noi campiamo ancora sui successi tuoi" e aggiungono: "Bei tempi quelli!"».


di Lorenza Foschini - Tratto da PANORAMA 28/1/2005
per informazioni e comunicazioni: stefano@solegemello.net



MUSICA: LUCIO DALLA RICORDA MELIS

(ANSA) - ROMA, 22 FEB - «Quelli di Melis erano altri tempi. I dischi allora si vendevano e gli studi della Rca erano  diventati una sorta di cenacolo di artisti. Il bar, lì sulla  Tiburtina, era davvero un porto di mare». C'è nostalgia nella  voce di Lucio Dalla nel ricordare Ennio Melis, morto ieri a 79  anni. Dalla era tra i grandi della scuderia di artisti della Rca  formata da Ennio Melis nell'immediato dopoguerra. Quegli studi  sulla Tiburtina, quell'etichetta, ha visto passare da Luigi  Tenco a Gino Paoli, da Morandi a Venditti e Patty Pravo...e  ancora, praticamnete tutti i cantautori italiani. Dalla era di  quei pochi che non hanno mai lasciato la casa discografica. Se
ne era andato Prima Melis, nell'83 in pensione e poi, dopo una  lunga malattia, ieri per sempre.
Oggi, di Melis Dalla ricorda «la capacità di scoprire talenti  e il coraggio di valorizzarli». I tempi eroici e che «Proprio  con Melis ho cominciato a scrivere le parole delle mie canzoni:  ricordo che suonai sul pianoforte del suo studio 'Com'è  profondo il marè».



"Dove scorre il Tevere..." 28/11/2003
  di Stefano Latini "Solegemello"
leggi anche l'articolo su Antonello all'auditorium...


Sul tavolo c'è il vinile di Theorius campus, sotto cui Antonello cerca di nascondere senza successo un pacchetto di sigarette, vicino a lui, Francesco De Gregori, amico e compagno di Folkstudio.
L'intervista,  a cura di Vincenzo Mollica per Tv7 (Rai 1), ha come set uno dei moli del nuovo battello che da circa 6 mesi solca il Tevere.
(consiglio: se siete a Roma è un giro  piacevolissimo. Per qualche foto visitate il mio sito, sezione di Roma www.romasole.ven.cc, dove documento una "gita" da me fatta in primavera).
L'incontro ci regala  un susseguirsi di ricordi, Antonello  canticchia la canzone "Al mio funerale"("Al mio funerale non voglio donne che si ricordino del loro amore, i miei amici li vorrei vedere, tutti quanti in osteria…." ), una delle primissime cose di De Gregori ,  Francesco, rilassato e finalmente a suo agio, apprezza e rilancia.
Scorrono le immagini del ventennale del Folkstudio, in quell'occasione i due , accompagnati  da Giorgio Lo Cascio proposero  "Signora aquilone" e "Sora Rosa".

(Adnkronos) - ''Antonello, ho fatto un grandissimo errore e chiedo scusa. Ti devo confessare che quando hai scritto l'inno della Roma, sono rimasto spiazzato in modo anche spiacevole, da cantautore impegnato con la puzza sotto il naso, da cantautore col 'K'. Invece quella canzone e' una straordinaria canzone. La canto in certi momenti formidabili della Roma, come si fa a non cantarla'''. Francesco DE GREGORI chiede scusa ad Antonello Venditti in un'intervista-incontro che sara' trasmessa questa sera, alle 23.45, nel corso di TV7, il settimanale del Tg1. I due cantautori hanno inciso insieme il brano 'Io e mio fratello' contenuto nell'ultimo album di Venditti. ''Quante me ne avete fatte negli anni '70 -dice Venditti a DE GREGORI nell'intervista realizzata da Vincenzo Mollica- Quando DE Andre' si accorse prepotentemente di te, io rimasi solo, pur avendo un linguaggio meno forbito, ma ugualmente forte e colto. Venivate a rovinare le presentazioni dei miei dischi. Al Teatro Gerolamo io presentavo 'Quando verra' Natale' e tutto andava per il meglio quando arrivaste voi con Nanni Ricordi e cominciaste a fare casino, schiamazzando e mandando via la gente. Io mi arrabbiavo come una bestia e pensavo: 'ma questi due fighetti, che vogliono?'''. (Mag/Rs/Adnkronos)

Oltre a ciò che è stato anticipato da ADNKRONOS, che un pochino ha rovinato la sorpresa, si è parlato di Piero Ciampi, cantautore toscano, conosciuto come Piero "l'italiano".(Cohen, incontrato da Venditti nel '74 al Teatro dei Satiri a Roma lo chiamerà infatti così....).
Viene poi raccontato  l'aneddoto secondo cui Piero chiese a Francesco dei soldi ("al bar della Rca chiedeva prestiti un pò a tutti", dice De Gregori), perchè viveva da vero poeta...amante del vino sua principale delizia.: "Ei Francesco nun c'hai qualcosa , tu c'hai fatto i soldi con le canzoni....?" Per poi spendere quel denaro  poco dopo, a Campo de'fiori,  offrendo da  bere a chiunque passasse da quelle parti… 

Scorrono le immagini  di "Io e mio fratello" che mostrano il grande divertimento con cui è stata registrata
L' intervista (intitolata da Mollica "la strana coppia"), procede quindi con lo stesso spirito goliardico della canzone, tra ricordi  e  bicchieri di vino rosso "la sostanza stupefacente", come la chiama Antonello.

Questo duetto, contenuto nell'ultimo cd di Venditti "Che fantastica storia è la vita"., chiude anche il servizio di tv7, con i due che canticchiano dal "vivo" "Sono Antonello e questo è mio fratello bello...". Toccante  anche l'accenno di Francesco al futuro, quasi a significare, "ci siamo e ci saremo ancora".

Un giorno di novembre. C'era il vino, c'era il Tevere, c'erano due grandi artisti e due grandi amici.

Grazie per Alice, per Sora Rosa. Grazie a Roma capoccia, amata città di un mondo "sempre per sempre" infame.

con amicizia, a tutto voi,

Stefano "solegemello" 




"Sora Rosa" all'auditorium 17/11/2003
di Stefano Latini - "Solegemello"


Il 17 novembre 2003 è andato in scena l'incontro tra Antonello Venditti ospitato dalla sala media dell'Auditorium di Roma e moderato dai giornalisti de La repubblica, Gino Castaldo ed Ernesto Assante. La serata è ad ingresso gratuito, e la Sala Sinopoli si riempie pian piano fino all'esaurimento dei 1200 posti.
Roma risponde bene quando c'è Antonello Venditti (da notare che l'adunata è stata quasi spontanea perché gli eventi "Incontri d'autore" non ricevono un battage pubblicitario da concerto.)
L'auditorium è bello, con i suoi mattoni rossi e le tre sale a forma di scarabeo, con il suo legno pregiato, le poltrone rosse, e le scritte al neon del foyer, tra cui è impossibile non notare il verso pacifista della canzone "imagine" di Lennon.

Ma sono dettagli. Dentro, aspettiamo Antonello fino alle 21.20….Il Palco è allestito con una scenografia "vintage", una serie di oggetti antichi, o vecchi, un divanetto di pelle per il cantautore, delle poltrone bianche anni settanta, una lampada  dello stesso periodo, una vecchia radio, un ventilatore non proprio nuovissimo, un frigorifero….
Di lato, un pianoforte nero, che ci fa ben sperare.
Si respira un'aria informale, sebbene, nell'attigua sala da 2800 posti, la "Santa Cecilia" si svolga un concerto di musica classica. Per la cronaca nella sala 700 ci sono invece Virzì e Muccino che parlano dei loro film e di cinema. L'auditorium è così, offre ogni sera incontri, conferenze, è un luogo aperto, che non vive soltanto della tradizione, di musica classica, è una struttura viva, polifunzionale e come romano non posso che esserne orgoglioso.

Arriva Antonello, camicia di fuori azzurrina, giacca blu stropicciata. E' come al solito un fiume in piena, ed inizia il racconto….Aveva ragione Guccini a soprannominarlo "Cicalone", non si ferma un attimo…. e i due giornalisti, non possono far altro che assecondare il diluvio di parole, peraltro molto divertiti e partecipi del coloratissimo dipinto che va colorando Antonello.
Segue lo schema dell'"One man band…", parte della famiglia, la nonna ipercattolica, il padre eroe di guerra "con la medaglia d'argento"(racconta anche una strampalata storia familiare tra il padre e lo zio…finita a spararsi…), la madre professoressa, che a 90 anni ancora traduce in 5 o 6 lingue…
Il padre era molisano e viveva in un piccolo paese, il nonno era un personaggio d'altri tempi con sigaretta da un lato e cappello in testa, sempre, che non si levava nemmeno davanti al podestà fascista…(da qui viene l'idea del cappello di Antonello…aneddoto graziosissimo no??!)

Castaldo e Assante confessano di essere anche loro del quartiere Trieste pur non avendo frequentato il Giulio Cesare.(antonello bacchetterà Gino Castaldo per un articolo pesantuccio su di lui, dice Venditti "e non so' mica monnezza…comunque il clima è molto scherzoso e i due intervistatori si divertono molto con  i vari racconti…)

Carino l'aneddoto secondo cui Antonello, il primo giorno di scuola, da neofita della politica qual'era finsce, suo malgrado in un corteo dell'MSI. Dice Venditti, pur non sapendo niente "Mi ero accorto che qualcosa non andava…."…poi l'episodio de "Er roscio", un giovane di destra del Giulio Cesare(scuola conservatrice…), che volantinava davanti al liceo…Antonello rispondeva con un gestaccio al volantino del "compagno"….e poi scappava come un fulmine(certo con il suo peso di 90 kg e passa doveva essere difficile)….l' ira del "fascio" puntualmente finiva davanti casa di Antonello, a due passi dal Giulio Cesare, vicino a Corso Trieste…
Una volta "er roscio" lo prende davanti al cancello di casa(aveva due portoni…) e gliene dà quattro….

Si passa alla descrizione di Roma pre-folkstudio, con i locali storici il Piper, il Taitan, la musica,  il boogie woogie, poi l'arrivo del rock, l'arrivo del  "cantautore Dylan" che Antonello ha ringraziato come se fosse Dio in persona…con Castaldo e Assante molto divertiti. Molte altre citazioni di gruppi dell'epoca , di movimenti musicali, per un Venditti che oltre che cantautore dimostra sempre una grande cultura musicale. Il Folkstudio, Francesco De Gregori, l'esibizione a Villa Pamphili con il chitarrista Marani, Antonello non sicuro del suo strumento si faceva accompagnare. Citato anche Gianandrea, altro chiatarrista, con cui Antonello, ascoltava (in silenzio..mica come oggi, dice Venditti) i dischi di De Andrè e di Dylan, studiandosi la mega copertina del vinile, traducendo ogni parola, e capendo "ogni sfumatura" dei testi…

Antonello descrive la propria formazione musicale a metà tra il mondo del rock e quello del folk…ecco dunque arrivare "Sora Rosa", scritta con la febbre e mentre davano la messa in tv….(la nonna gliela impose, non potendo seguire le varie messe giornaliere…)

….Antonello si siede adesso al piano nero, nell'angolo sinistro del palco, ed esegue una "Sora Rosa" da brividi….sporca, graffiante, roca, fantastica. Antonello spiega il suo modo di suonare il piano, "Il finger picking". Mostra la mano…"volevo fare il chitarrista,  ma con queste manine…e poi mia madre mi impose il pianoforte, con le classiche lezioni…."
Prende a suonarlo a modo suo in modo molto ritmico "non potendo suonare la chitarra, ho suonato il piano come se suonassi la chitarra …" E in effetti ci fa sentire un "DO" come si suona a scuola , e un DO come lo fa lui, con un gioco di tre dita, e il medio alzato.
Venditti è un pianista anomalo, non tecnico, autodidatta per molte cose, ma indubbiamente geniale. Butta le dita sul piano..e dice "se non suonavo così non nasceva sotto i segno dei pesci….e la accenna al pianoforte…..grande emozione da parte mia….sembra di vivere il momento che l'ha scritta. Gli occhi si imperlano di commozione, è solo musica, ma tocca l'anima…
Si continua con il tema Antonello-Francesco e il loro ritrovarsi amici (ma lo sono sempre stati) dopo la morte di Giorgio Lo Cascio….un De Gregori che dice ha vissuto con soggezione "la mia voce"…in realtà quando i due cantano insieme avviene dice Antonello "che uno cerca di cantare come l'altro e viceversa…")
Antonello è un fiume in piena, ama raccontarsi e si vede, sciorina una specie di enciclopedie del rock, della canzone d'autore, i vari personaggi del fokstudio il tutto in un affresco coloratissimo.
Vengono mostrati vari video tratti da "Da San Siro a Samarcanda", "Roma capoccia", e poi "Modena" nella versione con Barbieri. Antonello parla di se stesso , di quell'essere spesso frainteso e considerato un punto sotto altri cantautori, almeno da una certa parte della sinistra culturale. I due giornalisti , dicono, che dipende da quella sua cultura popolare, da quel suo parlare alla gente, e anche da quella voce possente che non si presta alla chitarrina e alla ballata di stampo dylaniano classico. Antonello parla di "Modena" e dice che nasce a un festival de L'UNITA' ai tempi del compromesso storico tra DC e PCI, dice che quando trovò nel programma della festa la scritta "offerto da COCA COLA", capì tutto, come andava il mondo, dove sarebbe andato. Grazioso notare che poi la COCA COLA finisca nella canzone!!!

Si parla anche di "Samarcanda" e del suo schierarsi in una posizone scomoda…c'era il "caso Lima" e Antonello invece di attaccare il politico…si mostrò garantista, dicendo che la magistratura avrebbe deciso…sui fatti di mafia….la sinistra lo stroncò…e da quel momento si accentuò un certo non capirsi…

Antonello parla di attualità, dell'industria discografica, dell'iva, della possibilità di dare la licenza a chi vende illegalmente per la strada, parla anche della guerra e dell'eccidio di Nassiria. Lo fa con rabbia, deplora la retorica imperante e i minuti di silenzio, che dice andrebbero riempiti ognuno con quello che sente  Poi però fa svolgere alla sala il minuto di silenzio, forse contraddicendo i propositi…..parla spesso anche di questo, del suo essere contradditorio, per carattere, di dire spesso troppo….Poi però dialoga con il pubblico, invita a dialogare con lui, specie una persona che al solito gli urla "canta….!!!"…..Non è uno spettacolo di canzoni, che lo spettatore non lo sapesse??!
Riprende a parlare, a volte con retorica, a volte da predicatore, a volte esternando il proprio dolore e la propria rabbia per la cultura di morte da cui siamo ancora dominati, dalla piccolezza di un popolo che si ritrova unito e solidale solo nella tragedia.
Quella sua rabbia, e impotenza verso questa nuova guerra, questo nuovo sangue, la sento molto mia…
Si parla poi di LILLY con i due giornalisti…Assante parla di canzone "cinematografica" di flash, che l'ascoltatore può riempire….va al piano, prova a fare "Lilly", si ferma dopo poche strofe…."non riesco a cantarla, è troppo vera", si parla poi di come "Buona domenica" sia una nuova svolta, un ritrovarsi rock, e sottolinea Assante, che qui sta la sua modernità, non essersi fermato agli stilemi del cantautore da oleografia. Molto d'accordo. Anche con De Gregori , dice Antonello se canteremo insieme dovrà essere una cosa molto "vera".

E' tempo di Ci vorrebbe un amico e Grazie Roma , nate nella casa che gli trovò Dalla a Trastevere dopo l'esilio milanese (ai tempi della rottura con la moglie)…Antonello  seducendo la padrona di casa…scontò anche un buon prezzo….va al piano…canta una Grazie Roma lentissima, sofferta, sognante…..inventa…..poi a un certo punto si ferma…...
Non sarebbe male presentarla così in concerto…spiazzando tutti i tifosi giallorossi! Dice Antonello che la canzone non nasce direttamente per la squadra ma è il suo ringraziamento alla città che lo riaccoglieva dopo "l'esilio"….poi in quegli stessi mesi la Roma vinceva lo scudetto e la canzone assunse anche quel connotato….Poi Antonello dice "vi confesso una cosa…" , dice che Grazie Roma e Ci vorrebbe nascono insieme, nello stesso periodo, su tre accordi molto simili…e cerca di dimostrare che si può cantare "Ci vorrebbe..." su Grazie Roma…alla fine non ci riesce…dice "non sono proprio uguali!"

Si passa agli anni 90, anni difficili, anticipati da lui dal mondo di ladri, anni che gli è "è stato difficile decifrare" dice Assante. E' vero.
Infine l'Antonello di oggi.  Mi sembra che Venditti si trovi oggi in una posizione ideale….dopo "Che fantastica…"
Ha tante cose da dire, comincia a rinascere la necessità di un nuovo impegno, si trova libero dalla "gabbia" della classifica….secondo me può da adesso in poi riprendere quella strada che con gli ultimi album aveva un po’ perso…e mi sembra che l'ultimo disco lo mostri di nuovo autore, di nuovo calato nella realtà

Antonello parla di Mtv, omologata , con un target giovane e preconfezionato, della televisione che banalizza tutto.
Si chiude con Centofanti, che irrompe sul palco, chiamato da Antonello. Si mette al piano…Antonello dice, "lui è un pianista vero" e suona bene…mica come me…..in effetti Centofanti si mette al piano e suona "Alta Marea"…..emozionante sentire questa canzone tutta la pianoforte senza tanti orpelli, Antonello la canta benissimo, pur non essendo un estimatore di Alta Marea ammetto che è stata molto bella come esecuzione….
La serata finisce con un test botta e risposta….la risposta più bella e divertente è alla domanda "che cosa odi di più?"
Risponde "il freddo, l'indifferenza, quando tutto è fermo, immobile, la morte" "freddo come una mentina"   

Il dialogo, ma è stato un monologo perché i giornalisti faticavano ad intervenire(!!!),  è  durato più di due ore; quando finisce, quasi a mezzanotte, siamo stanchi e soddisfatti.
Antonello ci ha parlato anche stasera delle "cose della vita", fatte di lacrime , di poeti e di storie fantastiche…..e per questo lo ringraziamo di cuore.


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