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"Canzone d'autore"


 Bob Dylan, Jackson Browne, Joan Baez,
 James Taylor, Bruce Springsteen,
 Pearl Jeam, Patty Smith


  di Marco Re "Rock 63"


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BOB DYLAN
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Parlare in poco spazio del papà dei cantautori, del Cantautore per eccellenza...è un’impresa quasi disperata così come consigliare qualche disco dalla sua ormai sterminata discografia.
Ma  ci proverò ricorrendo il più possibile alla sintesi (e non me ne vogliano gli sfegatati del nostro Bob).
A mo’ di premessa ricordo che quasi tutto il catalogo di Dylan è disponibile in collana economica per cui si può davvero accedere a molti di questi titoli con la modica cifra di 10 euro (più o meno).

Del primo periodo (quello acustico, per intenderci) sicuramente consiglierei:

THE FREEWHEELIN' BOB DYLAN (1963) perchè contiene alcuni pilastri della canzone di protesta politica e antimilitarista come Blowin' in the Wind e Masters of War;

ANOTHER SIDE OF BOB DYLAN (1964) ovvero il passaggio dalla canzone politica e di impegno socio-civile a una dimensione più introspettiva e personale legata ai moti dell'animo e ai turbamenti del cuore.

BRINGING IT ALL BACK HOME (1965) il disco della svolta e del "tradimento" : nella seconda facciata Dylan imbraccia la chitarra elettrica e dà il via alla svolta che cambierà il corso della musica con due dischi fondamentali non solo nella carriera del nostro ma in quanto riconosciute pietre miliari nella storia del rock . Parlo di

HIGHWAY 61 REVISITED (1965) e BLONDE ON BLONDE (1966). Non sono due dischi facili, richiedono pazienza, passione, dedizione... si conquistano per gradi rigorosamente con i testi sotto mano. Dentro c'è la musica di ieri, di oggi e di domani.

Dopo questi dischi ci sarà la svolta l'incidente motociclistico che lo terrà fermo per qualche tempo e la svolta country e alcuni dischi francamente poco significativi. Passerei direttamente al biennio 1975/1976 : altri due dischi di notevole spessore come BLOOD ON THE TRACKS e DESIRE (che contiene la sempre bellissima Hurricane e la splendida Sara).

Seguiranno gli anni della svolta della conversione religiosa (dall'ebraismo al cottolicesimo) ma anche di un periodo abbastanza discontinuo dal punto di vista creativo. Bisogna aspettare almeno fino al 1989 per ascoltare un altro disco straordinario "OH MERCY" prodotto da Daniel Lanoise e accolto dalla critica come uno dei suoi dischi più belli di sempre. Dura poco più di 35 minuti ma sono 35 minuti di assoluta bellezza.
E poi...l'odore della morte che ti si avvicina fino a ghermirti quasi caro Bob...ma alla fine sei riuscito a beffare sorella morte e a regalarci uno dei capolavori degli anni novanta "TIME OUT OF MIND" (1997 sempre prodotto da Lanoise) e a sorprenderci nuovamente lo scorso anno con LOVE & THEFT (2001).

D'obbligo accompagnare l'ascolto con la lettura dei testi...se vi interessa sul sito di Dylan (http://www.bobdylan.com) si trovano tutti!! Oltre alle belle "pagine" della discografia completa.

A Roma, una pietra che rotola 1/11/2003
Di Stefano "solegemello"

Chi conosce il folk-singer dei primi album, dimentichi tutto. Non c'è traccia di questo nel neverending tour che Bob Dylan da Duluth sta portando in giro per l'Europa. C'è Rock puro e duro, stravolgimento di tutte le canzoni, pochissime concessioni ai classici.  Una voce sporca, canzoni destrutturate, niente chitarra, piuttosto l'intero concerto passato a suonare e strapazzare una tastiera. Zaccagnini su "il messaggero" lo definisce con una bella immagine "un fantasmino vestito di nero con l'andatura barcollante".(Il messaggero 2/11/2003)

Ma il vecchio Dylan non molla e lo si capisce subito: è pronto a regalare due ore di concerto da ricordare.
Per un "non dilanologo" come me (e il mio amico-benefattore che mi ha procurato il biglietto) all'inizio è grande sorpresa : nessuna atmosfera folk o country ma  rock puro. Le ballate più note appaiono sotto una luce completamente diversa, a tratti sono irriconoscibili. Non fa concessioni "il cantautore" , non vuole fare un concerto di "Best of". Il canto è quello di sempre , urlato , gracchiante, inimitabile.
Comincia con "To be alone with you" e poi "The lonesome death of Hattie Carroll" , "It's all over now, baby blue", poi le più note ma riconoscibili appena "Don't twice, it's all right" , "Highway 61 revisited" e ancora "Cry a while", "Love minus zero" , Tweedle Dee & Tweedle Dum "Every grain of sand",  "Honest with me" , "Summer days", "Cat's in the well", "All along watchtower." e altre.

Sono tutte staffilate rock, tranne qualcuna , più sommessa e malinconica.
Quello che  mi trasmette questa musica, per me quasi del tutto inedita (conoscendo il personaggio da letture varie e dall'ascolto delle più note ballate, non mi aspettavo comunque nulla di più accomodante…) , è grande energia, rabbia, voglia di ribellione, poesia. Non ci sono luci o effetti grafici a movimentare il tutto, c'è solo un folletto nero dai capelli grigi che salta furibondo e graffia i nostri cuori.
Ma la leggenda è lì a un passo...e Dylan qualche piccolo gioiello lo regala : prima avvisaglia, proprio all'inizio,
"Mr Tambourine Man"  ma ancora una volta è difficile riconoscerla, stiracchiata e deformata dal suo autore come creta.  Poi è il culmine, quello che tutti aspettano.  Braccia alzate ad indicare il cielo. Anche questa volta Dylan non  strizza l'occhio al suo pubblico, piuttosto  sconvolge ,  sorprende  e  nel refrain, conquista per sempre.
Perché , alzi la mano chi non si è sentito, almeno una volta,  come quella pietra che rotola solitaria di cui parla la canzone.  LIKE A ROLLING STONE !

di Stefano "solegemello"


Da Kata Web Musica
Dylan, giocando a
scacchi con il passato
http://www.kwmusica.kataweb.it/kwmusica/pp_scheda.jsp?idContent=114515&idCategory=2028

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Jackson Browne
di Marco Re "Rock 63"

Esce dopo sette anni di silenzio, il nuovo album di un mostro sacro della canzone d'autore americana, Jackson Browne. Qui in Italia è conosciuto solo per la famosa STAY (che per altro non è nemmeno sua) o per UNA CITTA' PER CANTARE, versione italiana fatta da Ron di un brano di Jackson.
Il nuovo disco si chiama THE NAKED RIDE HOME e contiene 10 brani tra cui uno dedicato (e intitolato) a SERGIO LEONE (per inciso il brano in questione è splendido). La prima impressione è che si tratti di un disco notevole.

Ve lo segnalo poichè abbiamo parlato molto di cantautori americani e Browne è uno dei più importanti soprattutto per l'aspetto lirico dei suoi testi spesso e volentieri molto impegnati politicamente. Browne è da sempre un attivista del movimento antinucleare e di organizzazioni pacifiste..



BIOGRAFIA E DISCOGRAFIA di Jackson Browne
a cura di Marco Re Rock 63

Nato nel 1948, si fa notare verso la fine degli anni Sessanta a New York – dove si era trasferito dalla natia California alla ricerca di successo- prima come chitarrista poi come compositore per Nico (Velvet Underground) che incide trre suoi brani per il suo album d’esordio “Chelsea Girl”. Notato dal manager David Geffen viene scritturato per la Asylum che gli pubblica nel 1972 il primo album JACKSON BROWNE (oggi ormai definitivamente anche se erroneamente ricordato col titolo di SATURATE BEFORE USING) grazie anche al successo avuto qualche mese prima dal brano “Take it easy” scritto per il lancio d’esordio del gruppo californiano Eagles. Questo disco di esordio si segnala immediatamente per la delicata vena poetica dei testi e per la musicalità raffinata ed orecchiabile al tempo stesso. Il successivo FOR EVERYMAN (1973) e soprattutto LATE FOR THE SKY (1974, considerato uno dei suoi dischi migliori di sempre) lo rivelano definitivamente come uno dei più raffinati e sensibili cantautori della west coast: le sue canzoni vengono riprese da nomi come Joan Baez e Joe Cocker mentre il pubblico sembra apprezzare i delicati acquarelli sonori di Browne sia quando le sue canzoni scandagliano i misteri dell’animo umano e dei complessi rapporti interpersonali sia quando si fanno più attente alla realtà socio politica.
Paradossalmente il successo comincia ad arrivare in occasione di uno dei momenti più difficili nella vita di Jackson Browne: il suicidio della moglie accompagnato da chiacchiere e pettegolezzi che dipingono un Browne marito dispotico e violento al punto da indurre la compagna a togliersi la vita; inevitabile “rovescio della medaglia” della crescente popolarità che porta la stampa scandalistica a creare un caso su un evento drammatico. Tutto questo segnerà inevitabilmente Browne che nel 1976 pubblicherà lo splendido THE PRETENDER (l’opinione è strettamente personale: infatti molta parte della critica non ha opinione simile alla mia), disco segnato “a fuoco” dai temi della perdita, del dolore e della morte. Il disco arriva comunque dritto al cuore di milioni di fans sparsi in tutto il mondo che, ancora più numerosi, porteranno al grande successo il disco successivo, il famosissimo RUNNING ON EMPTY (1977), disco anomalo nella formula poiché si tratta di un disco registrato interamente dal vivo ma non solo ed esclusivamente in concerto: infatti molti brani sono suonati durante le prove prima dei concerti o sull’autobus che trasporta i musicisti da una città all’altra durante la tournee o nella completa solitudine di una stanza d’albergo. L’anomalia sta nel fatto che si tratta comunque di canzoni inedite e di alcune cover (tra cui la notissima “The Road” di Danny O’ Keefe ripresa poi – in versione fedelmente tradotta in italiano – da Ron con “Una città per cantare”).

Gli anni ’80 segnano poi un progressivo scemare del successo ottenuto nel decennio precedente: da una parte Jackson Browne sperimenta, senza tradire se stesso, nuove e diverse soluzioni sonore e dall’altra comincia a distinguersi come un personaggio politicamente scomodo con le sue battaglie contro il nucleare (ricordiamo nel 1979 il concerto evento NO NUKES) e contro la politica dell’amministrazione Reagan.
Leggermente appannato – come ispirazione - risulta HOLD OUT (1980) nonostante contenga, a mio avviso, almeno due tra i suoi capolavori di sempre (l’omonima “Hold Out” e la lunga “Hold On Hold Out).
Gli album che seguono sono forse tra i più politici della sua carriera: da LAWYERS IN LOVE (1983) al bellissimo e feroce LIVES IN THE BALANCE (1986), disco straordinariamente d’attualità con le splendide “America” e “Lives in the balance” fino al mezzo fiasco di WORLD IN MOTION (1989) che contiene un vero e proprio atto d’accusa contro gli enormi stanziamenti del governo a favore delle spese militari (si ascolti “How Long”).
L’insuccesso di questo ultimo album e la tormentata relazione sentimentale con l’attrice Daryll Hannah tengono Jackson Browne lontano dalle scene per alcuni anni. Il suo ritorno si avrà solo nel 1993 con I’M ALIVE disco considerato tra i suoi migliori degli ultimi anni e ben accolto anche dal pubblico come d’altra parte anche il successivo LOOKING EAST del 1996 a cui fa seguito la prima antologia THE NEXT VOICE YOU HEAR: THE BEST OF JACKSON BROWNE (1997) a celebrare i 25 anni di carriera discografica e 11 albums sin qui pubblicati a dimostrazione di un autore che pubblica solo quando ha qualcosa da dire e non si avvale delle logiche dell’industria discografica che pretende spesso un disco all’anno per tenere “vivo” l’interesse del pubblico. La raccolta, che contiene anche alcuni brani inediti rimarrà infatti l’unica uscita fino al nuovo e bellissimo “THE NAKED RIDE HOME” uscito lo scorso settembre dopo oltre 5 anni di silenzio discografico. L’interesse suscitato dal nuovo album sta portando Jackson Browne in giro per il mondo per il primo tour mondiale dopo parecchi anni.

Per approfondire, leggere testi e ascoltare qualche sample consiglio una visita al sito ufficiale (molto bello tra l’altro) http://www.jacksonbrowne.com
e http://www.jrp-graphics.com/jackson_browne.html ottimo sito non ufficiale


"L'intenzionale formazione di una classe criminale
Il futuro illuminato da ponti in fiamme che bruciano
la giustizia ciecamente preoccupata a nascondere il cuore di vetro
e distrugge con una forza da spianare catene montuose
mentre ovunque sono a buon punto i preparativi per la guerra perenne
e le armi ormai guidano tutti i programmi e i progetti
...ci stiamo proprio tirando il martello sulle mani:"

(Libera traduzione personale dell'ultimo verso di Casino Nation, un brano in cui Browne fa un ritratto dell'America come di un paese che è diventato quasi una sala da gioco, un casinò appunto, un paese "che produce armi nel nome di Gesù" e che vende al mondo un'immagine di sè di "fittizio crogiolo di mondo libero".)

 

recensione di Rockol (www.rockol.it) su THE NAKED RIDE HOME


Ci sono cantanti che fanno parte a pieno titolo dell’immaginario rock americano. Forse non hanno la stessa fama di Springsteen o Dylan, ma hanno scritto canzoni e inciso dischi di pari livello a tali mostri sacri. Jackson Browne è uno di questi. Viene in mente una scena di "Forrest Gump": Tom Hanks che corre senza sosta sulle strade degli Stati Uniti, si ferma e il suo commento è: "Sono un po’ stanchino". Le note di sottofondo sono quelle di "Running on empty", title track di uno dei più importanti dischi della storia della musica americana. La voce è quella di Browne, ovviamente.


"The naked ride home" è il primo disco del cantautore californiano da sei anni a questa parte. Dopo "Looking east" (1996) uscì solo una raccolta con un paio di inediti. Jackson Browne non si è mai realmente allontanato dalle scene, come ci ha raccontato lui stesso nell’intervista pubblicata nei giorni scorsi. Ha continuato a fare concerti, e si è preso i suoi tempi. E la sensazione è che, nel frattempo, gli ascoltatori del rock si siano un po’ dimenticati della sua importanza. I due dischi degli anni ’90, eppure, erano prove comunque notevoli. Nulla di sconvolgente, ma egregi esercizi di stile nel solco della tradizione della musica californiana, e comunque migliori delle incerte prove degli anni ’80 (tipo "World in motion").


Se la gente si fosse effettivamente dimenticata di Jackson Browne, se se lo ricordasse solo per "Stay" o poco più, sarebbe davvero un peccato. "The naked ride home" è un buon motivo per tornare a parlare di lui. Nessun capolavoro, intendiamoci. Ma un signor disco di rock, che conferma l’impronta scelta negli ultimi album. Abbandonato da tempo il songwriting pianistico ed intimista degli anni ’70, tralasciati gli esperimenti rock sovraprodotti di alcune cose degli anni ’80, Browne sembra avere trovato un equilibrio tra le diversi componenti della sua musica. Nel disco si alternano con sapienza il mid-tempo melodico (la title track, forse il pezzo più bello del disco), il brano rock (il singolo "Night inside me"), le influenze caraibiche ("For taking the trouble"), le lunghe suite (come "Sergio Leone", dedicata al regista italiano), le ballate pianistiche (lo stupendo 1-2 finale di "Don’t you want to be there" e "My stunning mistery companion")


Anche nei testi c’è un equilibrio tra la componente più romantica e quella più sociale, che in momenti diversi della carriera avevano avuto la meglio. E poi, c’è quella stupenda voce calda, che potrebbe anche cantare un elenco del telefono e farlo sembrare interessante…


Insomma, "The naked ride home" è un album degno del nome che lo firma: intenso, avvolgente, mai banale. Un ottimo punto di partenza per riscoprire un grande della musica rock americana.

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Bruce Springsteen

  Settembre/Ottobre 2002
  di Marco Re "Rock 63" e Stefano "Solegemello"

A Luglio 2002 è uscito l'ultimo disco di Bruce Springsteen, quale occasione migliore per fare un viaggio all'indietro nella monumentale discografia del boss?
Ecco qualche spunto...

Nebraska (1982) è un disco totalmente acustico (chitarra+armonica) inciso nel piccolo studio domestico del Boss. Atmosfere sepolcrali e, in un certo senso, anticipa l'esperienza "The Ghost of Tom Joad".

Darkness on the edge of town (1978) è il disco di Springsteen che io amo sopra ogni altro...rabbioso...potente...epico...in una parola ROCK!
Uscì dopo che "Born to Run" album che  lo impose al pubblico mondiale segnando però anche un leggero compromesso con un rock più commerciale dopo le due rigorose prove d'esordio. "Darknes..." ritorna a un rock senza compromessi e snocciola una serie di brani uno più bello dell'altro. Forse è il mio preferito anche perchè è quello con cui ho conosciuto il Boss, forse perchè nei suoi dischi successivi non ho più ritrovato quell'impatto emotivo (anche se il doppio e monumentale "THE RIVER" ha parecchi bei momenti...) o forse perchè la troppa popolarità gli ha un poco nociuto...


"THE RISING"- Bruce Springsteen :  "The Boss is Back"!!
di Marco Re "Rock 63"

Il nuovo disco di Bruce, il primo dopo parecchi anni con la ritrovata E Street Band, ha il suono classico dello Springsteen più rock (quello per intenderci di Born To Run o Born in The USA) e pertanto è molto lontano dalle atmosfere scarne ed essenziali dell'acustico THE GHOST OF TOM JOAD . Sicuramente dopo il primo ascolto viene spontaneo il grido "The Boss is Back"!! Infatti è un ottimo album che si dipana lungo 15 brani : è un disco cha va ascoltato più volte prima che entri nelle orecchie nella sua totalità. Per carità, è un lavoro  ascoltabilissimo e pensato per un pubblico di massa che, giustamente lo sta premiando con il successo che merita. Brani più rock si alternano alle tipiche ballate ma forse la produzione di Brendan O'Brian ha un pò appiattito il suono della E Street Band (il mitico sax di Clemmons esce solo a tratti e poco caratterizzato).

Un punto di forza del disco - come sempre - sono i testi: Springsteen cerca di riflettere sulla ferita aperta dopo gli attentati di un anno fa ma lo fa senza demagogia ed evitando imbarazzanti populismi...racconta storie di gente comune su cui la tragedia ha gettato le sue ombre...e riflette anche sugli errori e sulla presunzione di un popolo - quello americano - che si ostina a credersi l'unico depositario di valori "giusti". Quasi provocatoriamente in una delle canzoni più belle del disco, Bruce utilizza un arrangiamento che ricorda linee melodiche tipiche della musica indo-pakistana e utilizza la collaborazione di un coro pakistano... e nella canzone celebra la necessità che mondi distanti tra di loro inizino a dialogarsi e ad accettarsi nelle reciproche differenze.
Cosa altro dire? penso sia un disco che vale la pena di essere ascoltato e acquistato...perchè in ogni caso è uno dei lavori discografici che in maniera più sincera e disincantata cercano di "fare il punto della situazione" sulle ferite di un popolo e di una umanità che ha lasciato una volta per tutte nel cassetto il sogno americano: Perchè il sogno è diventato un incubo!
 

"POLVERE NELLE SCARPE" di Stefano Solegemello -
I testi dell'ultimo album di Bruce Springsteen -
   
E' un disco doloroso "The rising" ricco di riferimenti alla tragedia delle Twin towers.
In "You 're missing", canzone del dolore e dell'assenza , si piange la perdita di una persona cara attraverso la descrizione di piccole scene  di vita quotidiana ; il brano termina con il presagio di una nuova apocalisse "il diavolo è nella cassetta delle lettere" (l'antrace?) e con la sensazione di un vuoto incolmabile : "ho polvere nelle scarpe, niente altro che lacrime": ecco tutto quello che resta delle torri di New York city;
In "The fuse"...."il diavolo è all'orizzonte....", in "The rising "  "le facce sono diventate nere"... in "Into the fire" "hai offerto il tuo corpo su per le scale" e così via con tanti altri versi firmati 11 settembre. Bruce ne parla senza retorica, descrive il dramma di un popolo.
Colpisce il lato "mistico" di questo album, un'opera in cui  il boss "solleva al cielo" la sua preghiera per una risurrezione materiale e spirituale.

Ci sono ballate come "Further on (up the road)" dove compare il caro vecchio "topos springsteeniano" della  "strada" e brani che ci fanno bruciare l'anima mentre guardiamo con Bruce "mondi lontani e separati", dove la pioggia di Allah,  bagna la terra. Sono mondi con i quali è indispensabile instaurare un dialogo ("Worlds apart" ).
Quale americano se non "il boss" avrebbe avuto il coraggio di mettere in un disco Budda, Maometto e l'apocalisse ? : "Ho sette immagini di buddha, il profeta sulla lingua, undici angeli di misericordia sospirano sul buco nero" (nella liberatoria "Mary's palce...".)
"Waitin' a sunny day", dolcissima,  è forse la canzone più "ottimista" di un disco fatto di preghiere rock per nulla banali.  "Paradise", davvero toccante,  parla di un kamikaze : "prendo i fili , il plastico, e aspetto il paradiso...." , il tutto sottolineato da una musica splendidamente malinconica. "City of ruins" è magnifica , mistica e grintosa.
"The rising" è insomma un disco che ci mostra uno Springsteen capace di mettere in musica, storie, immagini, poesie. "Come on, rise up!"

Bruce Springsteen links, traduzione dei testi :

Sito numero 1 :Tutti i testi tradotti
 

Sito numero 2 : Il sito dei fans italiani
 

Sito numero 3 : Tutto su "The rising"


Segnalazione:
Su "MUCCHIO SELVAGGIO EXTRA"(n.7 autunno 2002) , inserto del giornale di musica "Mucchio selvaggio" , un lungo e approfondito reportage su Bruce Springsteen.

Il nuovo disco "The rising" cresce di ascolto in ascolto : 15 inediti a testimonianza di una coerenza e di un’arte sempre viva, 15 brani che seguiti dal vivo assumono una credibilità e un’ intensita ancora più forti, come tradizione del mitico rocker americano.

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Pearl Jam: la scheda di Marco

Un po frettolosamente "etichettati" come alfieri del GRUNGE in base all'assioma: "Seattle è la capitale del grunge, i Pearl Jam sono di Seattle quindi...", i Pearl Jam sono, al di la delle etichette, forse l'unica grande band americana uscita negli anni 90. Lontani dai soliti luoghi comuni alla "sesso droga e rock'n'roll" (Oasis tanto per intenderci...) i Pearl Jam interpretano il rock come veicolo di comunicazione ed espressione di una generazione che oggi chiamiamo "Generation X" cioè la prima generazione di giovani senza riferimenti ideologici o valori precisi che, nel bene o nel male, avevano caratterizzato le generazioni precedenti. Il loro è un rock duro, tagliente, spesso disperato ma che a tratti sa aprire degli squarci di dolcezza estrema senza mai rinunciare a testi "che dicano qualcosa, che raccontino qualcosa": e spesso sono storie di disagio, di dolore, di disperazione, del "male di vivere" che si impossessa di ogni ventenne cresciuto tra famiglie disgregate, una società dei consumi che ti stritola, il sesso vissuto come malattia e morte, ecc.

Il loro primo album "TEN" (1991) è uno degli esordi più fulminanti della storia del rock degli ultimi vent'anni: semplicemente un disco straordinario che non va raccontato ma semplicemente ascoltato. Ottiene enorme successo e impone all'attenzione mondiale il nome dei PJ.

Il grande successo di questo disco fa si che grandi pressioni da parte dell'industria discografica siano esercitate su Vedder e compagni: è a sorpresa dunque che nel '93 con il successivo "VS" i Pearl Jam annuncino di non voler fare più videoclip, di rinunciare alla promozione e alla pubblicità e di non pubblicare singoli. Vanno oltre: si scagliano contro la più grande organizzazione di concerti in America uscendo dal loro circuito distributivo e "correndo" da soli autoorganizzandosi (l'esito sarà, ovviamente, fallimentare).

Infine, tanto per rimarcare il fatto che non corrono dietro al successo a tutti i costi, l'anno dopo esce il 3 album: VITALOGY, un album cupo, malato, ossessivo (segnato anche dal suicidio di Cobain), sporco nei suoni. A questo punto metà dei fan conquistati da TEN si sono già persi per strada...ma paradossalmente su questa base i PJ riescono a ripensarsi svincolati da un obbligo del successo a tutti i costi.


Progetti paralleli di ognuno dei membri della band e una collaborazione significativa con NEIL YOUNG, vedono i PJ impegnati a 360° nel mondo della musica : produzioni, collaborazioni, partecipazione a concerti benefici ecc.


Sempre senza nessuna forma di promozione(clip in particolare) usciranno gli album successivi NO CODE, YELD, il primo live LIVE ON TWO LEGS e BINAURAL.


La fine del tour mondiale organizzato in previsione dell'uscita di Binaural vede l'ennesima mossa a sorpresa dei Pearl Jam ovvero l'uscita contemporanea di 27 (o giù di li...) dischi live con la registrazione di ogni concerto svoltosi in America e Europa : un suicidio commerciale ma una ottima occasione per i collezionisti. L'interesse sta nel fatto che raramentre i PJ ripropongono la stessa scaletta ad ogni spettacolo e, in ogni concerto, eseguono cover diverse di volta in volta.


Il nuovo album RIOCT ACT, DATA ANCHE L'IMPORTANZA DEL MESSAGGIO POLITICO IN ESSO CONTENUTO, VEDE PER LA PRIMA VOLTA DOPO ANNI, il ricorso al VIDEOCLIP come mezzo promozionale.

Pearl Jam "Rioct Act"
su KatawebMusica, a firma Paolo Gallori:

Riot Act. I Pearl Jam invitano all'"adunata sediziosa" quanti, dopo l'11 settembre, hanno fatto un passo indietro, resistendo alla sirena del cieco patriottismo pompato dalla Casa Bianca per garantirsi il consenso in vista della campagna d'Iraq, dopo la "necessaria" crociata d'Afghanistan.

Quanti intravedono altro che il perseguimento dell'umano diritto alla pace nella determinazione di Bush a chiudere i conti lasciati in sospeso da suo padre con Saddam, dieci anni fa. Cosa? Il pieno controllo sulle vie del petrolio, l'accesso incondizionato alla nera risorsa del Golfo. Dietro il teatrino di Bush c'è la vittoria del "Green Disease", la malattia verde, il primato del dollaro su qualsiasi etica della pace.

Per una straordinaria coincidenza, il nuovo album della band di Seattle arriva al momento giusto per guastare il trionfo del presidente americano, che in pochi giorni ha incassato il controllo repubblicano di entrambi i rami del Congresso alle elezioni di medio termine e l'approvazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu alla risoluzione che dà i "sette giorni" a Saddam.

Riot Act ha un ingrediente che ne esalta il sapore: un attacco diretto a Bush, dove il crudo sarcasmo ruba la scena all’elegante metafora. "Perché è così appoggiato? - canta Eddie Vedder in Bushleaguer - Lui non è un leader, è solo un lobbista texano…trivella in cerca della paura, che gli rende il lavoro più semplice…".

Riot Act, prodotto dai Pearl Jam con Adam Kasper, missato da Brendan O'Brien, è un album importante per chi crede che il rock non sia solo un innocuo esercizio di stile, una gara di velocità tra chitarristi o di precisione tra batteristi. Facile sparare a zero contro il potere nelle cantine, quando si è parte di un underground che si nutre di se stesso.

Altro coraggio è richiesto a chi parla sapendo di essere ascoltato dal pianeta, giungendo anche nelle case di chi non comprerà Riot Act, attraverso la radio, le interviste. Un coraggio che si esprime anche nelle emozioni messe a nudo nelle altre canzoni dell'album, ricche di simbolismi e per questo aperte a diverse letture. La ballata "I'm Mine", per esempio: "So solo che sono nato e che un giorno morirò, ma quello che c'è in mezzo è mio, io sono mio". E ancora Can't Keep, dolente sussurro e traccia con cui si apre l'album: "Non aspetterò risposte, non puoi trattenermi qui... voglio dare un'occhiata dall’altra parte". Inni all'onestà intellettuale o alla sincerità nei rapporti umani, poco importa.

I Pearl Jam seguono schemi rodati per regalare ancora una volta ariose melodie alternate a secche, elettriche cavalcate. Le chitarre di Mike McCready e Stone Gossard tessono trame classiche sempre appaganti, Jeff Ament innerva il tutto col suo basso, Matt Cameron alterna drumming diretto e spiazzanti controtempo. Boom Gaspar impreziosisce il sound con intarsi di Hammond e Fender Rhodes, avvolgendo Riot Act di un'aura di sacralità.

Eddie Vedder commuove. Dà i brividi sentirlo emergere tra la polvere dell’acustica Thumbing My Way. Nelle profondità della sua voce, le emozioni restano incollate in ogni sfumatura. Il dolore ha forgiato la sua espressività, dalla tragedia senza senso di Roskilde. Ai nove ragazzi morti davanti ai Pearl Jam in un giorno d'estate del 2000 è indirizzato il lamento melismatico di Arc, in cui Vedder fa rivivere lo spirito di Nusrath Fateh Ali Khan. E la solenne preghiera Love Boat Captain: "Capitano, sostienimi e porta la verità... quando tutto è perduto ci sarai tu... perché di fronte all'universo io non significo nulla, e c'è solo una parola in cui credo... amore". Amore. America. Amore...


Patty Smith
di Marco Re "Rock63"

La prima bella notizia: tutto il catalogo dei primi dischi di Patti Smith si trova in serie economica e in edizione remastered (con anche qualche chicca in aggiunta) e con una ottima edizione anche dal punto di vista grafico (THE PATTI SMITH MASTERS): assolutamente da non perdere il disco d'esordio, il mitico HORSES, disco seminale per molto punk/rock/grunge/ e chi più ne ha più ne metta di lì a venire. Il disco è la convergenza del talento poetico-musicale e del carisma di Patti Smith con la visionarietà fotografica di Robert Mapplethorpe (grande amico della Smith e autore della splendida immagine di copertina)con la visione musicale di John Cale (ex Velvet underground qui al banco di regia come produttore)e con la cultura musicale di Lenny Kaye (giornalista musicale , massimo esperto e cultore della psichedelia musicale e chitarrista). Un disco che si apre con il verso -declamato sul lento incedere di un pianoforte - come
"Jesus died for somebody's sin but not mine"  non era e non è cosa di tutti i giorni!
Oppure consiglio il terzo album "EASTER"  quello che contiene la celebre "Because the night" scritta a 4 mani con l'allora poco conosciuto Bruce Springsteen ( è la canzone che da sempre apre le notti di rai 3...fuori orario..) o il successivo "WAVE" (al quale sono molto legato perchè è quello che la portò per la prima volta in Italia...la prima volta che vidi dal vivo Patti Smith... e come per tutte le prime volte...non l'ho più potuta dimenticare)...
Un consiglio veramente utile penso sia quello di riuscire a risparmiare qualche euro e partire dalla antologia uscita nel 2002 "LAND". Compilata dalla stessa Smith per salutare il pluriennale rapporto con la sua storica casa discografica Arista, LAND è una antologia degna di tal nome oltre che un bellissimo oggetto (il libretto è un vero e proprio oggetto d'arte...vedere per credere): un cd con i 17 brani più amati dal pubblico a coprire tutto il periodo 1975/2002 e un secondo cd di 13 brani scelti dalla Smith spulciando gli archivi personali di registrazioni alternative di brani a lei cari più interessanti inediti e il "reading" del testo poetico "Notes to the future".  L'antologia ha una prefazione di Susan Sontag! Come dire: hai detto niente!



Brevissime su Joan Baez e James Taylor


Vi segnalo per quello che riguarda Joan Baez, un disco live dei primi anni settanta registrato a Milano in cui la Baez canta una strepitosa versione di "C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones".

Joan Baez è sempre stata una "pasionaria" e una che non si è mai tirata indietro quando era ora di cantare per le cause più nobili (diritti civili, antimilitarismo, pacifismo) e penso che abbia anche pagato il suo eccesso di impegno con una marginalità al mondo musicale (intendo in termini di popolarità e vendite). Figura scomoda. Decisamente.


James Taylor è un altro ottimo autore anche se ascrivibile alla scuola dei cantautori della West Coast: melodie dolci, malinconiche e struggenti love songs. Di questa "scuola non è tra i miei preferiti, ha scritto un pugno di bellissime canzoni, è stato il compagno di donne straordinarie come Carly Simon, e la immensa Joni Mitchell (che è per la canzone al femminile ciò che Dylan è in generale per la canzone d'autore...un pilastro fondamentale).

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