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"Canzone d'autore"

Alla corte del Re Cremisi: speciale King Crimson
di Marco Re "Rock 63"


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di Marco Re "Rock 63"

Per raccontare qualcosa dei King Crimson devo partire necessariamente da un ricordo personale la cui emozione, pur a distanza ormai di molti anni, continua ad essere presente quando sento parlare del Re Cremisi: a metà degli anni Ottanta ebbi l’occasione di vederli dal vivo ad una delle tante Feste dell’Unità Nazionali che si sono tenute a Reggio Emilia. L’occasione era davvero unica poiché la serata prevedeva due set diversi: i King Crimson appunto e i Roxy Music.. Due delle mie band preferite insieme, nella stessa sera, a pochi passi da casa. Un vero e proprio evento. I Roxy Music erano reduci dal successo clamoroso del loro splendido e famosissimo “Avalon” (1982) e stavano calcando i palcoscenici europei per quello che sarebbe poi stato il loro tour d’addio (si fa per dire perché proprio due anni fa hanno tenuto qualche altro concerto e pare che quest’anno replichino anche se di fatto Avalon rimane a tutt’oggi il loro effettivo ultimo album di studio) mentre i King Crimson erano tornati a suonare dopo anni di silenzio per quella che tutti chiamano la “terza reincarnazione del Re Cremisi”.

Innanzitutto vale la pena dire che i King Crimson sono la creatura (dal 1969) del geniale e scorbutico chitarrista Robert Fripp: geniale perché chitarrista di grande tecnica e anche di grande inventiva (famosi i suoi frippertronics e tutti i “marchingegni” di sua invenzione per ottenere dalle chitarre elettriche i suoni più disparati), scorbutico perché sono pochi i musicisti che hanno saputo gestire le manie di perfezionismo e le richieste del leader (disciplina e assoluta perfezione tecnica nel suonare). Famoso - inoltre - il suo atteggiamento sul palco durante le esibizioni live: seduto sempre in posizione da offrire il fianco al pubblico, seminascosto dai suoi “aggeggi”, a lato del palco, e senza mai guardare verso la platea: segno di grosso pudore ma anche di enorme sforzo di concentrazione nel suonare e nel “dirigere” il gruppo. Superfluo dire, a questo punto, che tutti i musicisti che hanno militato nei King Crimson sono stati e sono dei veri “maestri” dello strumento e se un difetto è proprio dei Crimson è quello di, a volte, un eccessivo tecnicismo a scapito dell’emozione. Ma per molti – soprattutto musicisti – la musica dei Crimson è sempre stata considerata come fonte di ispirazione, di ricerca e di studio.
Per molti ancora oggi nome di culto, i Crimson non sono mai stati, per le caratteristiche poc’anzi descritte, delle rock star e i loro dischi non hanno mai venduto moltissimo nè mai sono finiti nelle classifiche di vendita forse anche perché nelle loro diverse reincarnazioni hanno sempre saputo anticipare i tempi senza mai legarsi ai suoni del momento ma si sono trovati un passo più avanti in alcuni casi anticipando di dieci anni almeno certi sonorità.

Il loro esordio discografico – 1969 - è, senza alcun dubbio, uno dei dischi più belli e importanti del rock inglese di fine anni sessanta: IN THE COURT OF THE CRIMSON KING, il famoso album dalla copertina che ritrae un’enorme bocca spalancata in un urlo di terrore (una riedizione dell’URLO di munchiana memoria?) segna le coordinate per quello che sarà il primo periodo dei Crimson: dolcissime e memorabili ballate quasi pastorali (I Talk To The Wind, Moonchild) che si alternano e/o si trasformano in brani dai suoni secchi e duri, al limite dell’hard rock (come nell’anthem “21th Century Schizoid Man” (un titolo che è tutto un programma) con ampi spazi per l’ improvvisazione strumentale (la lunga e complessa coda di “Moonchild”) e per le divagazioni tipiche del progressive rock (la splendida “The Court Of The Crimson King”). In questo primo album la voce (e il basso) sono quelli di Greg Lake (che poi troverà la sua strada e fortuna negli E L & P) mentre i testi sono del poeta visionario Peter Sinfield che con le sue liriche fantastiche ed oniriche accompagnerà i King Crimson durante tutta la prima fase della loro storia. Infine non bisogna dimenticare il polistrumentista Ian McDonalds (che in più di una occasione delizia le orecchie con un uso notevole del flauto) e il batterista e percussionista Michael Giles. In una parola: capolavoro.
Sulla stessa falsa riga di questo disco si muovono i due episodi successivi, entrambi usciti nel 1970: IN THE WAKE OF POSEIDON è impreziosito dall’entrata nel gruppo di due straordinari musicisti come il pianista Keith Tippet e il saxofonista Mel Collins mentre la musica sembra spostarsi ancora di più verso l’improvvisazione fino quasi ad avvicinarsi a certe modalità espressive tipiche del free jazz (Pictures of A City), tendenza, quest’ultima, ancora più accentuata nel terzo album LIZARD che vede anche un più completo utilizzo degli strumenti a fiato. Da segnalare in LIZARD la presenza del cantante degli Yes, Jon Anderson, che canta nel primo movimento della lunga suite che da il titolo al disco e che contiene una rielaborazione del famoso “Bolero” di Ravel.
Il primo periodo dei King Crimson si chiude degnamente con il bellissimo “ISLANDS” (1971), forse il loro disco più conosciuto dopo il mitico album d’esordio anche grazie al brano “Formentera Lady” : in questo disco convivono free jazz, pop, brani dalla struttura classicheggiante sorretti da un quartetto d’archi ed è forse il disco dove in maniera più felice convivono tecnica, cervello ed emozione. Ma poi il “giocattolo” si rompe e il Re Cremisi abdica e si suicida: Fripp manda tutti a casa e decreta la morte della band.

Ma come un’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri ritroviamo i King Crimson nel 1973 con LARKS’ TONGUES IN ASPIC: Fripp ha chiamato a corte lo straordinario batterista Bill Bruford (appena uscito dagli YES), il bassista e cantante John Wetton (proveniva dai Family)   e il violino elettrico di David Cross. In questa nuova riedizione dei Crimson le liriche fantastiche di Simfield sono sostituite da quelle più legate alla quotidianità di Palmer – James e la musica è decisamente più elettrica e tecnologica, più dura e spigolosa, con i membri della band tesi sempre in una ricerca di un equilibrio tra improvvisazione e musica scritta. Con questa formazione Fripp incide altri due album: STARLESS AND BIBLE BLACK e RED entrambi incisi a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro e pubblicati nel 1974 in cui il suono si fa progressivamente più duro e compatto ai limiti di certo hard rock o heavy metal.
Ancora una volta, inspiegabilmente e nonostante un crescente successo di pubblico soprattutto ai concerti, Fripp licenzia tutti e sigla l’album live “U.S.A. ’75” con la inequivocabile sigla R.I.P.

Per tutti gli anni settanta non sentiremo più parlare dei King Crimson anche perché il mondo del rock viene messo in subbuglio dalla new wave e dal punk e quasi tutti i “vecchi dinosauri” vengono prepensionati. Ma quando ormai tutti davano per definitivamente sepolto il Re Cremisi, il sempre poco prevedibile Fripp ritorna con i suoi King Crimson agli inizi degli anni ’80: sono gli anni della trilogia DISCIPLINE (1981) , BEAT (1982) e THREE OF A PERFECT PAIR (1984). Parlo di trilogia non a caso: i tre dischi formano un corpus unico fino dalle copertine - tutti e tre in tinta unita con un diverso logo per disco (rosso il primo, blu il secondo, giallo il terzo) – e nella omogeneità della proposta musicale. Ora il suono dei Crimson è più essenziale, più pulito verrebbe voglia di dire e tutto giocato sui fraseggi e le alchimie chitarristiche fra Fripp e Adrian Belew (forse l’uomo che in tanti anni e fino ad oggi ha meglio saputo far interagire il proprio talento e virtuosismo con quello del leader:) i cui giochi sono sorretti dalla più straordinaria sessione ritmica che la storia del rock d’avanguardia abbia mai avuto e cioè Bill Bruford (batteria) e Tony Levine (basso).
Dopo questa trilogia un nuovo silenzio, di nuovo inspiegabile, e ci si deve accontentare delle parole dello stesso Fripp "King Crimson is, as always, more a way of doing things. When there is nothing to be done, nothing is done: Crimson disappears. When there is music to be played, Crimson reappears. If all of life were this simple".

E indubbiamente musica da suonare, per Fripp e compagni, ce ne sarà ancora e precisamente dieci anni dopo: con il mini album VROOM che anticipa THRAK del 1995 e THE CONSTRUKCTION OF LIGHT(2000) i Crimson sembrano tornati per restare e paradossalmente diventano con questi ultimi dischi padri spirituali e fonte d’ispirazione per band di industrial rock e new metal (NIN, TOOL ecc.), fino al recentissimo nuovo album THE POWER TO BELIEVE che, si dice, sia al limite dell’heavy (ma sempre con quel gusto per la ricerca e la sperimentazione che caratterizza Fripp e soci) mentre negli ultimi anni Fripp è in pieno “trip” celebrativo: ha infatti aperto gli archivi personali e sta pubblicando al ritmo di 2/3 l’anno i dischi live che ripercorrono l’intera storia dei King Crimson dal 1969 ad oggi ed è diventato quasi impossibile districarsi nella loro discografia. Alla faccia dei vecchi dinosauri!



King Crimson live a Roma

di Paolo Ansali
da MUSICALNEWS - giugno 2003

Il Re Cremisi è tornato a Roma per il tour 2003. Luci e ombre di un concerto unico.

Avete mai visto un chitarrista che suona seduto, di profilo,
immobile,senza mai guardare il pubblico? Questo è Robert Fripp genio scontroso e austero come pochi. Ma è pur sempre un genio e gli si puo perdonare tutto o quasi. Anche un'ora e mezza di spettacolo a 32 euro più prevendita e la mancanza del megaclassico "21st Century Schizoid Man".

Il pubblico comunque non manca (circa tremila le presenze) e il concerto del Foro Italico inizia alle 21,15 non prima di aver avvisato il gentile pubblico di non scattare foto e di non fumare (anche all'aperto!) "Level Five" è un'orgia di tempi dispari ben guidati dal drumming martellante di Pat Mastellotto e dalla "warr guitar" a dieci corde di Trey Gunn. Adrian Belew sembra il più umano del quartetto, sorride e scherza volentieri con il pubblico.

In scaletta ci sono diversi estratti dall'ottimo "The Power To Believe" ma non non mancano un paio di interessanti brani del controverso "The ConstruKCtion of Light" e la splendida ballad "One Time". Fripp rimane come sempre fermo sul lato sinistro del palco, muove solo le mani sulla sei corde mentre lo avvolge una luce blu spettrale. Lo show procede in modo colladauto, tecnicamente ineccepibile ma forse con poco calore. Si conclude con una versione acustica di "Three of A Perfect Pair" per chitarra e voce e la ripresa di "Red", unica concessione agli anni settanta, asccolta con un grande applauso. Poi Mr. Fripp si alza e scompare nel buio senza salutare nessuno.


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